Cassazione Penale, Sez. IV, 14/09/2022, n. 39480
Infortunio sul lavoro: la Datrice di Lavoro era in grado di conoscere la prassi deviante “pericolosa”, rispetto alla corretta procedura di manutenzione di un macchinario?
Profilo di colpa contestato al legale rappresentante della società: aver consentito (e comunque non impedito) un’attività di manutenzione di un macchinario pericolosa, così determinando le lesioni colpose aggravate a un dipendente. La Corte ha accolto il ricorso dell’imputata, ritenendo che la legale rappresentante non sapesse – o potesse essere informata – della prassi “deviante” di manutenzione del macchinario in uso nello stabilimento aziendale. Esito: Annullamento senza rinvio. |
Questo mese si prende in esame la recente pronuncia della Sezione Quarta della Suprema Corte di Cassazione, del 14.9.2022, n. 39480, con la quale è stata annullata la pronuncia della Corte di appello di Firenze di conferma della penale responsabilità della legale rappresentante, per il reato di cui all’art. 590 c.p., commi 2 e 3 (lesioni colpose aggravate dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro), in danno di un dipendente della società.
Il procedimento ha riguardato un infortunio sul lavoro,verificatosi nel gennaio 2014.
Secondo la ricostruzione fornita dai giudici di merito(Tribunale di Lucca e Corte d’Appello di Firenze), il giorno dell’infortunio il lavoratore C.C.M. lavorava a una macchina e terminata una lavorazione e doveva iniziarne un’altra con un impasto diverso.
A tal fine, seguendo istruzioni che una collega più anziana gli aveva impartito quando era stato assunto, si apprestò ad eseguire una “pulizia leggera” della macchina rimuovendo i residui di pasta. Per farlo, si collocò in una posizione che gli consentiva di raggiungere con la mano destra i rulli e con la mano sinistra i comandi. Da questa posizione egli faceva girare i rulli a vuoto e, con la mano destra, accompagnava la pasta residua per farla scendere. Durante questa operazione uno dei rulli afferrò un dito del guanto monouso (utilizzato per evitare “contaminazioni”), la mano fu quindi trascinata dai rulli e ed il dipendente riportò la frattura di tutte le dita della mano destra. Da tali lesioni conseguì una malattia di durata superiore ai 40 giorni.
I giudici di merito hanno ritenuto che la responsabilità dell’infortunio possa essere attribuita alla legale rappresentante e datrice di lavoro dell’infortunato, perché ella consentì (o comunque non impedì) lo svolgimento della pericolosa operazione sopra indicata.
Le sentenze di merito sottolineano, in particolare, che, secondo l’infortunato, un’operazione simile a quella che determinò l’infortunio veniva eseguita ogni volta che, terminata una lavorazione, se ne doveva iniziare un’altra cambiando l’impasto e, da quando era stato assunto, lui aveva eseguito quella operazione forse trenta volte.
Indicazioni in tal senso, gli erano state fornite, quando aveva iniziato a lavorare, da una collega più anziana, la quale ha confermato tale circostanza, sostenendo di avere ricevuto a sua volta indicazioni analoghe da un soggetto (definito dalla teste quale “capo impastatore, responsabile dell’area impasti”) e ha chiarito che tale operazione veniva compiuta quando si doveva cambiare l’impasto, mentre in altri casi, che richiedevano una pulizia più approfondita, si smontavano i rulli.
La Suprema Corte ha ritenuto fondato il ricorso dell’imputata, ritenendo che i Giudici di merito non avessero motivato sulla conoscibilità da parte della legale rappresentante della prassi aziendale non conforme.
Dalla sentenza di merito, infatti, la Suprema Corte ha ritenuto che non emergesse se la legale rappresentante sapesse – o potesse essere informata della prassi in forza della quale, ad ogni cambio di impasto, in contrasto con le disposizioni contenute nel manuale di uso e manutenzione della macchina, si procedeva ad una “pulizia leggera” senza disalimentare la macchina, usando le mani invece degli appositi strumenti presenti in ditta.
È poi molto importante la censura della Suprema Corte relativa al fatto che i giudici di merito non avessero considerato:
– l’organigramma aziendale;
– la complessità aziendale (numero dei siti produttivi);
-la posizione di garanzia di un preposto, definito “responsabile dell’area impasti”.
Tutto ciò, doveva essere ben valutato per accertare la responsabilità del Datore di Lavoro, in ordine alla componente soggettiva della colpa.
Pertanto, ritenuto in parte fondato il ricorso, la Suprema Corte ha annullato la sentenza senza rinvio ai fini penali, essendo maturata la prescrizione del reato.