La pandemia che ha investito il tessuto economico-giuridico del paese pone enormi sfide per le imprese tuttora in attività (in quanto incluse nell’ Allegato I del DPCM 22.03.2020) così come per quelle società che riprenderanno la produzione una volta terminata l’emergenza.
La sfida principale per il sistema produttivo sarà senza dubbio quella di assicurare che l’attività lavorativa venga svolta in modo sicuro e conforme alle disposizioni governative, nella prospettiva di un complesso bilanciamento tra diritto alla salute ed attività economica d’impresa
L’emergenza da Covid-19 pone in discussione anche l’efficacia e l’idoneità dei Modelli 231, poiché crea potenziali profili di responsabilità penale dei soggetti apicali e/o dei loro sottoposti nell’ambito di impresa, con conseguente responsabilità amministrativa degli enti ai sensi del D.Lgs. 231/01.
Nella speranza che ciò possa chiarire alcune questioni in questa fase di incertezza, conviene analizzare le numerose conseguenze dell’emergenza Covid-19 sull’adempimento contrattuale, alla luce delle disposizioni del Codice Civile e della giurisprudenza della Suprema Corte.
Giova, innanzitutto, riportare brevemente alcune delle principali disposizioni adottate dal Governo, al fine di contenere la diffusione del contagio da Covid-19.
In primo luogo, venivano introdotte, in data 04.03.2020, con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (di seguito DPCM) norme dirette ad evitare assembramenti di persone.
Tra queste si riportano di seguito, a titolo esemplificativo, le disposizioni di cui alle lett. a) e b) del comma 1, art.1 del DPCM citato:
<<… a) sono sospesi i congressi, le riunioni, i meeting e gli eventi sociali, in cui è coinvolto personale sanitario o personale incaricato dello svolgimento di servizi pubblici essenziali o di pubblica utilità; è altresì differita a data successiva al termine di efficacia del presente decreto ogni altra attività convegnistica o congressuale;
b) sono sospese le manifestazioni, gli eventi e gli spettacoli di qualsiasi natura, ivi inclusi quelli cinematografici e teatrali, svolti in ogni luogo, sia pubblico sia privato, che comportano affollamento di persone tale da non consentire il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro di cui all’allegato 1, lettera d); …>>.
Successivamente, con il DPCM del 08.03.2020, sono state introdotte misure particolarmente restrittive nel territorio dell’intera regione Lombardia e di 14 province del settentrione (Modena, Parma, Piacenza, Reggio nell’Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso e Venezia).
Ancora, il DPCM del 09.03.2020 ha esteso tali prescrizioni a tutto il territorio nazionale, al fine di combattere ancora più incisivamente la diffusione del virus, nonché di evitare spostamenti di massa da Nord a Sud.
Il Governo ha poi aumentato sensibilmente la severità delle misure DPCM del 11.03.2020 (conosciuto anche come Decreto “io resto a casa”) limitando drasticamente la libertà di circolazione delle persone e permettendo, dunque, solo gli spostamenti giustificate da:
- comprovate esigenze lavorative.
- situazioni di necessità.
- spostamenti per motivi di salute.
- rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza.
Inoltre, è stata disposta la sospensione delle attività commerciali al dettaglio su tutto il territorio nazionale, ad eccezione di quelle espressamente indicate dal medesimo decreto.
Nel Decreto “io resto a casa” il Governo è stato costretto a porre in essere un difficile quanto necessario contemperamento tra il fondamentale diritto alla salute (art. 32 Cost.) ed altri diritti di rango costituzionale.
La complessità di tale bilanciamento emerge, in particolare, rispetto alle esigenze di carattere economico.
Infatti, il Decreto in esame ha introdotto varie limitazioni alle attività produttive e professionali tra cui l’incentivo ad utilizzare al massimo modalità di lavoro agile (smart working), il ricorso a ferie e congedi retribuiti per i dipendenti, così come l’adozione di specifici protocolli anti-contagio, come previsto dall’art. 1, commi 7 e 8:
<<…7. In ordine alle attività produttive e alle attività professionali si raccomanda che:
a) sia attuato il massimo utilizzo da parte delle imprese di modalità di lavoro agile per le attività che possono essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza;
b) siano incentivate le ferie e i congedi retribuiti per i dipendenti nonché’ gli altri strumenti previsti dalla contrattazione collettiva;
c) siano sospese le attività dei reparti aziendali non indispensabili alla produzione;
d) assumano protocolli di sicurezza anti-contagio e, laddove non fosse possibile rispettare la distanza interpersonale di un metro come principale misura di contenimento, con adozione di strumenti di protezione individuale;
e) siano incentivate le operazioni di sanificazione dei luoghidi lavoro, anche utilizzando a tal fine forme di ammortizzatori sociali;
8. per le sole attività produttive si raccomanda altresì che siano limitati al massimo gli spostamenti all’interno dei siti e contingentato l’accesso agli spazi comuni …>>.
Si è poi avuta l’adozione del Decreto-Legge n.18 del 17.03.2019 (chiamato anche “Cura Italia”), che ha introdotto misure di potenziamento al sistema sanitario nazionale e di sostegno alle imprese e alle famiglie tra cui giova citare:
- finanziamento e altre misure per il potenziamento del Sistema sanitario nazionale, della Protezione Civile e degli altri soggetti pubblici impegnati sul fronte dell’emergenza;
- sostegno all’occupazione e ai lavoratori per la difesa del lavoro e del reddito;
- supporto al credito per famiglie e micro, piccole e medie imprese, tramite il sistema bancario e l’utilizzo del fondo centrale di garanzia;
- sospensione degli obblighi di versamento per tributi e contributi nonché di altri adempimenti fiscali ed incentivi fiscali per la sanificazione dei luoghi di lavoro e premi ai dipendenti che restano in servizio.
Ulteriori misure sono state poi introdotte con il DPCM 22 marzo 2020 che il Governo ha emanato a seguito delle richieste di vari Presidenti di Regione, sindaci e delle principali organizzazioni sindacali, al fine di combattere con ancor più vigore l’emergenza epidemiologica da COVID-19.
Anche tali misure si applicano sull’intero territorio nazionale.
Il provvedimento prevede la chiusura delle attività produttive non essenziali o strategiche. Restano aperti alimentari, farmacie, negozi di generi di prima necessità e i servizi essenziali.
Le disposizioni producono effetto dal 25 marzo 2020 e sono efficaci fino al 3 aprile 2020.
Infine, in data 01.04.2020, il Governo ha emanato un nuovo DPCM prorogando le misure restrittive fino al 13 di aprile.
In ottica di razionalizzazione del sistema sanzionatorio agisce poi, il Decreto-Legge n.19 del 25.03.2020.
Infatti, al fine di contrastare e contenere i rischi sanitari e il diffondersi del contagio, vengono elencate ulteriori limitazioni agli spostamenti prevendendo nuove sanzioni amministrative da 400 euro a 3.000 euro per chi viola le misure di contenimento e la reclusione da 1 a 5 anni per chi non rispetta gli obblighi di quarantena.
Richiamate per sommi capi le principali disposizioni attuate per la lotta al Covid-19, conviene adesso analizzare le norme del Codice Civile rilevanti in tema di inadempimento.
In primo luogo, l’art. 1218 c.c. (Responsabilita’ del debitore) stabilisce che: << Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta e’ tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo e’ stato determinato da impossibilita’ della prestazione derivante da causa a lui non imputabile >>.
Per quanto riguarda poi l’impossibilità della prestazione rileva, in particolare, l’art. 1256 c.c., secondo cui:
<< L’obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile. Se l’impossibilità è solo temporanea, il debitore, finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell’adempimento. Tuttavia, l’obbligazione si estingue se l’impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell’obbligazione o alla natura dell’oggetto, il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla>>.
Il repentino diffondersi del Covid-19, definito ufficialmente come una pandemia globale dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, può essere, in alcuni casi, certamente considerato causa di impossibilità della prestazione non imputabile al debitore.
L’impossibilità sopravvenuta si verifica quando viene in essere una situazione impeditiva, non prevedibile al momento genetico dell’obbligazione.
Ciò però non basta, la situazione impeditiva deve essere superiore agli sforzi concretamente esigibili dal debitore (sul punto vd. Cass. civ., sez. III, 22 aprile 2009, n.9534) al fine di poter giustificare l’estinzione del rapporto obbligatorio.
Tra le cause di impossibilità della prestazione ai sensi dell’art.1256 c.c, rientrano anche provvedimenti legislativi o amministrativi, come i DPCM sopra considerati ma anche come le numerose ordinanze emanate dai “Governatori” di varie regioni per far fronte all’emergenza Coronavirus.
Ecco, dunque, che chi esercita un’attività il cui esercizio risulti temporaneamente sospeso da parte di interventi normativi nazionali o regionali, sarà esente da responsabilità da inadempimento sulla base dell’art.1256 c.c., purché solo per motivi strettamente legati all’emergenza in corso e ai richiamati atti normativi emanati.
Ove, invece, si tratti di un’impresa inclusa nell’elenco di cui all’allegato I del DPCM del 22.03.2020 e che, dunque, prosegue nell’attività lavorativa, un eventuale inadempimento contrattuale potrebbe essere giustificato non dall’istituto dell’impossibilità della prestazione bensì da quello dell’eccessiva onerosità della prestazione.
In merito rileva, in particolare, l’art. 1467 c.c. << Nei contratti a esecuzione continuata o periodica ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, con gli effetti stabiliti dall’articolo 1458. La risoluzione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell’alea normale del contratto. La parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto.>>.
Del resto, la diffusione del Covid-19 può senza dubbio considerarsi, alla luce della giurisprudenza della Suprema Corte (sentenza n. 12235, Cass, sez. III, 25 maggio 2007) un avvenimento straordinario ed imprevedibile, paragonabile ad un disastro o calamità naturale.
Ancora, i requisiti dell’imprevedibilità e straordinarietà potrebbero essere riferiti ai provvedimenti governativi delle ultime settimane, che hanno notevolmente ristretto la libertà di movimento dei cittadini sul territorio nazionale, lavoratori inclusi.
Ecco, dunque, che a causa della diffusione del Coronavirus la prestazione potrebbe essere divenuta eccessivamente onerosa per una delle parti, che risulta quindi legittimata a richiedere la risoluzione del contratto.
Tale dichiarazione deve essere tempestiva, al fine di non pregiudicare oltremodo i diritti ed il legittimo affidamento della controparte.
In conclusione, di fronte ad un eccessivo e repentino aumento dei costi della prestazione che siano causalmente dovuti alla attuale emergenza Coronavirus, il debitore potrà dunque richiedere la risoluzione del contratto.
L’art. 1467 c.c. permette alla controparte (id est il creditore della prestazione divenuta eccessivamente onerosa) di evitare l’estinzione del rapporto offrendo al debitore di modificare le condizioni del contratto alla luce dell’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione.
L’emergenza Covid-19 quindi permetterebbe di invocare, a seconda dei casi, l’operatività degli artt. 1256 e 1467 c.c.