I reati tributari entrano nella categoria dei reati-presupposto
Attraverso il “Decreto fiscale” del 26 ottobre 2019, n. 124 (avente ad oggetto «Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili», Capo IV «Modifiche della disciplina penale in materia tributaria e della responsabilità amministrativa degli enti nella stessa materia»), convertito con la legge n.157 del 19.12.2019, in vigore dal 25.12.2019, il Legislatore ha apportato numerose modifiche al sistema penale tributario, prevedendo l’inasprimento delle pene, ovvero l’abbassamento delle soglie di punibilità, di numerose fattispecie criminose (segnatamente, si tratta di quelle previste e punite: all’art. 2, comma 1 e comma 2 “Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” (altresì inserendo un ulteriore comma, il 2 bis, con una pena inferiore, allorché l’ammontare passivo risulti inferiore a 100 mila euro); all’art. 3 “dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici”; all’art. 4 “dichiarazione infedele”; all’art. 5 “delitto di omessa dichiarazione”; all’art. 8 “emissione di fatture o di altri documenti per operazioni inesistenti”, all’art.10 “occultamento o distruzione di documenti contabili”).
La riforma fiscale ha apportato anche modifiche al sistema della responsabilità para-penale degli enti collettivi.
Si è così avuto l’inserimento nel corpo del D.Lgs.n.231/2001 dell’art. 25 quinquiesdecies relativo, appunto, ai reati tributari che entrano così a far parte del novero dei reati-presupposto, vale a dire delle fattispecie criminose la cui commissione può condurre all’attribuzione della citata responsabilità para-penale.
In particolare, l’art. 25 quinquiesdecies sanziona gli enti[1] (cioè fondazioni, società e associazioni) nel cui interesse o in vantaggio dei quali viene posto in essere (da parte di un soggetto apicale o sottoposto all’altrui direzione e controllo) uno dei seguenti delitti previsti dal D.Lgs.n.74/2000:
- Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2 comma 1).
- Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti se l’ammontare degli elementi passivi fittizi è inferiore a 100.000 euro (art. 2 comma 2 – bis).
- Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art.3).
- Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 8 comma 1).
- Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti se l’importo non corrispondente al vero è inferiore a 100.000 euro (art.8 comma 2-bis).
- Occultamento o distruzione di documenti contabili (art. 10).
- Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11).
Qualora vi sia l'integrazione di uno dei reati appena menzionati, unitamente alla presenza degli altri requisiti propri della "fattispecie 231", l’ente può andare incontro a pesanti sanzioni sia di natura pecuniaria (fino a 400 o a 500 quote) che interdittiva.
In particolare, queste ultime, di cui all’art. 9 del D.Lgs.n. 231/2001, lett. c) d) e), presentano una particolare carica di afflittività potendo il soggetto collettivo vedersi applicare:
- Il divieto di contrattare con la P.A.
- L’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi.
- Il divieto di pubblicizzare beni o servizi.
In primo luogo, la sanzione pecuniaria appare, senza dubbio, dotata di efficacia preventiva in quanto può raggiungere, con riferimento ai reati tributari qui considerati, cifre comprese tra 800.000 e 1.000.000. di euro circa in presenza dell’aggravante di cui al comma due dell’articolo 25 quinquiesdecies.
Secondo quest’ultima disposizione, infatti, in seguito alla commissione dei delitti indicati al comma 1, ove l'ente abbia conseguito un profitto di rilevante entità, la sanzione pecuniaria ad esso attribuita è aumentata di un terzo.
Senza sottovalutare la portata general-preventiva della sanzione pecuniara, appaiono, ad ogni modo, dotate di maggiore afflittività le sanzioni interdittive.
Basti pensare alle conseguenze che possono derivare per un’impresa dall’applicazione, ad esempio, del divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione, circostanza che può in alcuni casi radicalmente escludere la possibilità per l’ente di proseguire nella propria attività.
A seguito della riforma considerata emerge, dunque, con forza la necessità per gli enti sottoposto alla "disciplina 231" di recepire le novità legislative adottate in un’ottica di prevenzione e responsabilizzazione con riferimento a tutte le fattispecie delittuose sopra richiamate.
[1] L'art. 1 comma 2, rubricato "Soggetti", del D.Lgs. n.231/2001 prevede:
<< 1. Il presente decreto legislativo disciplina la responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato.
2. Le disposizioni in esso previste si applicano agli enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica.
3. Non si applicano allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici nonchè agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale>>.